Si direbbe che, nel nostro Paese, si inizi a parlare di alcuni problemi solo in seguito a tragedie connesse ad essi. Negli ultimi giorni, ad esempio, solo dopo due incidenti stradali, uno verificatosi vicino ad Ascoli Satriano, in provincia di Foggia, in cui hanno perso la vita quattro migranti ed altri quattro sono stati ricoverati in prognosi riservata, ed un altro, avvenuto sempre nel foggiano, in cui sono morti dodici braccianti stranieri ed altri tre sono rimasti feriti, si è discusso molto del fenomeno del caporalato, in cui gli stessi erano impiegati, dato che tornavano da una dura giornata di lavoro nei campi. Si tratta infatti di un fenomeno purtroppo ancora molto diffuso in Italia, specialmente in alcune zone del Meridione, nei settori dell’agricoltura e dell’edilizia, che si basa proprio sullo sfruttamento della manodopera a basso costo, che viene di solito reclutata, appunto, da un caporale nelle prime ore della giornata e poi fatta lavorare “in nero” nei campi o nei cantieri edili senza le dovute protezioni dal punto di vista della sicurezza o igienico-sanitarie e i dovuti diritti al riposo e per un compenso insignificante, che può essere di 20-30 euro per una giornata lavorativa di 8-12 ore (ma si può arrivare anche al di sotto di un euro l’ora) o, a cottimo, di 3-4 euro per cassoni da 375 chilogrammi.
Per la Flai Cgil, il salario sarebbe quindi inferiore del 50% di quello previsto dalla contrattazione nazionale, e le donne sarebbero pagate il 20% in meno dei maschi. Nel settore agricolo, i rapporti di lavoro illeciti ammonterebbero a circa il 39 per cento del totale, con un giro d’affari di 4,8 miliardi di euro l’anno e 1,8 miliardi di evasione contributiva, ma buona parte di quanti vengono sfruttati in questo sistema sono stranieri, che costituiscono il 28 per cento dei lavoratori agricoli, ma sarebbero 67 mila i migranti coinvolti in “un rapporto di lavoro informale” e ben 157 mila quelli pagati con “una retribuzione non sindacale”. Sempre in Puglia, nelle campagne fra San Severo e Rignano Garnanico, si starebbe formando di nuovo, stavolta con delle roulotte, circa trecento, al posto delle baracche, il cosiddetto “Ghetto di Rignano“, dopo che quello precedente, in cui trovavano alloggio, in condizioni assai disagiate, quasi tremila migranti, per lo più africani, sfruttati nei campi per la raccolta dei pomodori, era stato sgomberato dopo un incendio scoppiato la notte tra il 2 e il 3 marzo 2017, in cui erano morti due migranti del Mali.
E’ molto difficile, però, che le roulotte siano state trainate fino lì, perché la strada è disastrata e molte hanno le gomme bucate, per cui viene da pensare che siano state portate con dei camion, e che ci possa essere dietro un‘organizzazione in cui possano essere coinvolti gli stessi caporali. Le condizioni di lavoro estremamente dure a cui vengono sottoposti quanti sono reclutati attraverso il caporalato si erano rivelate addirittura fatali nel caso di Paola Clemente, una donna italiana di 49 anni morta di fatica, il 13 luglio 2015, dopo essersi sentita male mentre lavorava all’acinellatura dell’uva: la donna partiva in autobus da San Giorgio Jonico alle 3 di mattina per giungere nei campi di Andria alle 5.30 e rientrare a casa non prima delle 15, molte volte anche dopo le 18, per 27 euro al giorno. Dopo la sua morte, il governo Renzi ha varato una legge per contrastare il caporalato, nota come “legge Martina” dal nome del suo primo firmatario, l’allora ministro delle Politiche agricole e forestali Maurizio Martina: tale legge prevede sanzioni sia per i reclutatori che per i datori di lavoro coinvolti nello sfruttamento di manodopera, con la reclusione da uno a sei anni e multe da 500 a 1000 euro per ogni lavoratore reclutato, oltre a strumenti come la confisca obbligatoria di beni o denaro dei responsabili e l’obbligo di arresto in flagranza di reato.
Il fenomeno, però, non accennerebbe a calare: nelle 7265 aziende agricole controllate nel 2017 l’Ispettorato nazionale del lavoro avrebbe infatti rintracciato 5222 braccianti irregolari (5512 nel 2016) di cui 3.549 in nero, ed è risultata irregolare circa un’azienda su due. Il problema, però, è che i controlli, spesso, sono carenti, come riconosciuto anche dal ministro del Lavoro Luigi Di Maio, che ha affermato: “Lo Stato non è attrezzato per controllare e per questo faremo un concorso straordinario per nuovi ispettori del lavoro”. Un paio di mesi fa, il ministro delle Politiche agricole Gian Marco Centinaio aveva invece sostenuto che “la legge sul caporalato va decisamente cambiata”, e della stessa opinione era anche il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che in questi giorni si è invece limitato ad annunciare “controlli a tappeto” per contrastare il fenomeno. Per il premier Giuseppe Conte, invece, bisogna integrare appieno e verificare la legge esistente, oltre che “capire perché non ha prodotto gli effetti sperati“.
Secondo la Coldiretti, però, fra le cause dello sfruttamento dei lavoratori nei campi vi sono le distorsioni nell’intera filiera, fino allo scaffale, dove è più evidente lo squilibrio fra la rimuneratività del lavoro agricolo e quello della distribuzione, favorito anche da pratiche commerciali sleali come le aste online al doppio ribasso, che penalizzano notevolmente gli agricoltori con prezzi al di sotto dei costi di produzione. Per il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo, inoltre, “occorre affiancare le norme sul caporalato all’approvazione delle proposte di riforma dei reati alimentari presentate dall’apposita commissione presieduta da Giancarlo Caselli, presidente del comitato scientifico dell’Osservatorio Agromafie promosso da Coldiretti”. Sono dunque diverse le strategie che andrebbero messe in campo per contrastare quest’odioso fenomeno, che assomiglia quasi ad una moderna schiavitù, in cui a farne le spese, al solito, sono gli ultimi, coloro i quali, italiani e soprattutto stranieri, sono costretti ad accettare simili condizioni di lavoro per poche centinaia di euro al mese, perché magari non trovano di meglio.
Innanzitutto, però, è necessario che vi sia una chiara volontà politica nel volerlo combattere seriamente, sia con la legge già in vigore, sia, eventualmente, modificando questa per renderla maggiormente efficace ed incisiva, aumentando poi i controlli e verificando che l’intera filiera produttiva sia improntata al rispetto di determinati criteri etici e la grande distribuzione non danneggi i piccoli agricoltori, un compito, questo, che spetterebbe anche al consumatore finale. Una volontà politica che dovrebbe manifestarsi non chiudendo gli occhi di fronte a questo fenomeno come davanti ad un altro, altrettanto orribile e ad esso in parte connesso, ossia quello dei tanti “ghetti” di braccianti come quello di Rosarno, e soprattutto cercando di fornire alternative dignitose a queste persone, quindi promuovendo la creazione di posti di lavoro che abbiano, però, i giusti diritti e le dovute tutele, anche per integrare i migranti che vengono da noi cercando una vita migliore e, invece, si trovano intrappolati in questi gironi infernali.