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Caso Cucchi, finalmente si sgretola il muro di omertà?

Il carabiniere Francesco Tedesco ha rivelato che Stefano fu picchiato dopo l'arresto da due suoi colleghi: grazie alla tenacia della sorella Ilaria si sta forse arrivando alla verità su quanto accaduto, ma anche lo Stato dovrebbe sempre cercare di fare chiarezza su episodi del genere.

Caso Cucchi, finalmente si sgretola il muro di omertà? 15 Ottobre 2018Lascia un commento

Sono nato nel 1982 a Roma, e sono sempre vissuto, e vivo tuttora, nel quartiere Balduina, a cui sono molto affezionato e che considero uno dei migliori della città, ma di cui, al tempo stesso, conosco pure i difetti e gli aspetti che andrebbero migliorati.

Ci si sta forse avvicinando alla verità, dopo nove lunghi anni, sulla morte di Stefano Cucchi, il geometra romano di 31 anni arrestato per droga il 15 ottobre 2009 e morto all’ospedale Pertini una settimana dopo. Il carabiniere Francesco Tedesco ha infatti rivelato che il giovane, dopo l’arresto, sarebbe stato picchiato all’interno della compagnia Roma Casilina da due suoi colleghi, che lo avrebbero anche fatto cadere a terra e battere la testa con una spinta e gli avrebbero dato un calcio in faccia quando questi era sdraiato a terra. Tedesco sarebbe intervenuto, dicendo ai colleghi: “Basta, finitela, che c… fate, non vi permettete” e cercando di allontanarli, e avrebbe subito riferito l’accaduto al maresciallo Mandolini. In seguito, però, avrebbe capito di non poter raccontare la verità al pm, cosi’ avrebbe chiesto allo stesso Mandolini cosa dire, e questi gli avrebbe risposto: “Gli devi dire che stava bene, quello che è successo, che stava bene, che non è successo niente“. Tedesco, all’inizio, non avrebbe rivelato quanto è accaduto per paura di ritorsioni, ma avrebbe deciso di parlare una volta accortosi che altri colleghi avevano iniziato a raccontare la verità.

Il pm Giovanni Musarò ha spiegato che “il 20 giugno 2018 Tedesco ha presentato una denuncia contro ignoti in cui dice che quando ha saputo della morte di Cucchi ha redatto una notazione di servizio, ma tale notazione “è stata sottratta e il comandante di stazione dell’epoca non ha potuto spiegare la mancanza”. Esulta Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, che tanto si è battuta, in questi anni, inizialmente da sola, per arrivare alla verità sulla morte del fratello, e che ha scritto su Facebook: Il muro è stato abbattuto. Ora sappiamo e saranno in tanti a dover chiedere scusa a Stefano e alla famiglia Cucchi”. Finalmente, infatti, dopo tutto questo tempo, dalla stessa Arma dei Carabinieri si inizia ad ammettere quello che Ilaria ha sempre sostenuto, cioè che Stefano è stato brutalmente picchiato dopo il suo arresto, come dimostrato anche dai profondi ematomi che aveva sul viso all’udienza di conferma del fermo in carcere, e come confermato da quanto egli stesso avrebbe raccontato ad altri detenuti.

Solo, però, dopo che, nel settembre 2015, la procura della Repubblica di Roma, su richiesta della famiglia, ha aperto un fascicolo d’indagine sulla vicenda, le indagini si sono concentrate specificatamente sui carabinieri presenti nelle caserme dove è avvenuta prima l’identificazione e poi la custodia in camera di sicurezza del giovane, tra la sera del 15 e la mattina del 16 settembre 2009, mentre, in precedenza, l’inchiesta si era tutta concentrata sugli agenti di polizia penitenziaria, assolti però già tutti in primo grado, e sui medici dell’ospedale Pertini, condannati in primo grado per omicidio colposo, ma poi assolti nei successivi gradi di giudizio. Ci è voluta dunque tutta la caparbietà della sorella di Stefano, assieme al suo avvocato Fabio Anselmo, per sfidare il muro di omertà che sembrava essere calato sulla vicenda, che ha visto anche dei tentativi di depistaggio, dato che tre carabinieri sono accusati di falso, calunnia e di aver testimoniato il falso al processo di primo grado, cercando in pratica di far ricadere le accuse sugli agenti della polizia penitenziaria.

Un muro di omertà dovuto molto probabilmente al fatto che fra gli imputati, oltre ai medici del Pertini, vi sono carabinieri ed agenti di polizia penitenziaria, quindi appartenenti alle forze dell’ordine, e pertanto è come se lo Stato non volesse ammettere che alcuni “suoi” uomini avevano sbagliato, che avevano abusato del potere derivante dall’indossare una divisa per infangarla, infierendo inutilmente e cinicamente su una persona già in stato di privazione della libertà. E’ anche grazie all’ostinazione di Ilaria Cucchi nel voler arrivare alla verità sulla morte di Stefano che l’opinione pubblica è venuta invece a conoscenza di casi analoghi, che hanno visto persone morire in circostanze poco chiare mentre si trovavano nelle mani dello Stato, ossia di polizia o carabinieri, come la vicenda di Federico Aldrovandi, il giovane di diciotto anni morto a Ferrara la notte del 25 settembre 2005 dopo essere stato fermato, a piedi, da una pattuglia della polizia.

Anche in questo caso, oltre ai quattro poliziotti condannati per “eccesso colposo nell’uso delle armi”, un altro è stato condannato per favoreggiamento e omissione di atti d’ufficio, per aver, in sostanza, cercato di depistare le indagini, mentre per un altro agente, condannato in appello per gli stessi reati, la Cassazione ha poi dichiarato prescritta la condanna. Solo nel 2009, sarebbero stati ben 26 i casi di persone morte in carcere senza che sia stata accertata la causa del decesso. Nel caso di Stefano, poi, vi è il fatto che egli spacciava droga e ne faceva uso lui stesso, perciò, per molti, è come se la sua vita valesse un pò di meno, perché si trattava semplicemente di un “tossico“, che “se l’era andata a cercare”. E’ evidente, dunque, che non ci si può limitare a considerare i carabinieri che avrebbero picchiato Stefano, o i poliziotti che avevano fermato Federico prima che questi morisse, come delle semplici “mele marce”, e non tener presente che queste “mele marce”, sebbene, fortunatamente, siano ben poche e poco hanno a che fare con la professionalità della maggior parte delle forze dell’ordine, sono però state, in parte, protette da un sistema che preferisce occultare tali fatti, forse perché, in fondo, si ritiene che gli appartenenti a tali corpi non sbaglino quasi mai, o, quando sbagliano, non debbano essere chiamati a risponderne appieno, come tutti i cittadini.

Tale sistema omertoso, che forse, finalmente, grazie a Ilaria Cucchi, sta iniziando a cedere, è stato, però, in parte rafforzato, o sicuramente non combattuto, anche dall’atteggiamento di certe parti ed esponenti politici, come l’attuale ministro dell’Interno, Matteo Salvini, che, quando la sorella di Stefano pubblicò su Facebook la foto di Tedesco in costume da bagno, ebbe a dire: “Capisco il dolore di una sorella che ha perso il fratello, ma è un post che fa schifo. Mi sembra difficile pensare che in questo, come in altri casi, ci siano stati poliziotti e carabinieri che abbiano pestato Cucchi per il gusto di pestare”. E’ anche a lui, probabilmente, che si riferiva Ilaria Cucchi, quando ha scritto su Facebook: “Ci chieda scusa chi ci ha offesi in tutti questi anni”. Il ministro, dopo le rivelazioni di Tedesco, ha invitato la famiglia di Stefano al Viminale, senza però scusarsi. Occorre, dunque, che ci sia la volontà politica e di tutte le istituzioni di abbattere questo muro di omertà e di fare pienamente luce sulla morte di Cucchi e su tutti i casi simili, di modo che le forze dell’ordine, che rappresentano lo Stato, siano veramente trasparenti, anche su quanto accade per colpa di pochi loro membri che infangano le divise che portano, cosicché questi episodi vengano sempre più scongiurati e i cittadini possano fidarsi appieno di quanti dovrebbero tutelarli, sapendo che, comunque, davanti alla legge siamo tutti uguali.

Sono nato nel 1982 a Roma, e sono sempre vissuto, e vivo tuttora, nel quartiere Balduina, a cui sono molto affezionato e che considero uno dei migliori della città, ma di cui, al tempo stesso, conosco pure i difetti e gli aspetti che andrebbero migliorati.

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