Si è finalmente risolto il lungo stallo politico, e, ad ottantotto giorni dal voto, si è raggiunto un accordo per la formazione del governo formato da Movimento 5 Stelle e Lega, per il quale, giovedì sera, Giuseppe Conte ha accettato l’incarico e presentato la lista dei ministri. Domenica 27 si era vissuta una giornata assai tesa, quando Conte ha dovuto inizialmente rimettere l’incarico di formare un nuovo esecutivo, affidatogli il 23 maggio dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, perché quest’ultimo ha posto il veto sulla nomina a ministro dell’Economia dell’economista Paolo Savona, critico sull’Europa e l’Euro, assai caldeggiata, invece, da M5S e Lega. Di Maio, all’inizio, aveva addirittura evocato la possibilità di chiedere l’impeachment, ossia la messa in stato d’accusa, per il capo dello Stato. Al posto di Savona, diventato invece ministro per gli affari europei, è andato al dicastero dell’Economia un altro professore di materie economiche, Giovanni Tria, considerato anch’egli eurocritico, ma non sull’Euro, e vicino ad ex ministri del centrodestra. Non è facile, al momento, azzardare previsioni su quello che potremmo aspettarci dal nuovo esecutivo, ma si possono intanto formulare alcune ipotesi.
Innanzitutto, la nomina di Matteo Salvini a ministro dell’Interno fa temere che questo governo si possa caratterizzare per un approccio fortemente securitario sulle politiche concernenti l’immigrazione, visto che il leader leghista ha affermato più volte di voler espellere centomila clandestini all’anno, e, una volta, ha addirittura affermato di volere, per gli immigrati, “una pulizia di massa strada per strada”, oltre a voler chiudere i campi rom e cancellare il reato di eccesso di legittima difesa. Anche nel programma di governo siglato da Movimento 5 Stelle e Lega, del resto, si parla di costruzione di nuovi CIE, di superamento del regolamento di Dublino (ma, pochi mesi fa, i due partiti, al Parlamento Europeo, hanno votato contro tale superamento), di aumento dei rimpatri e di “revisione della vigente normativa in materia di ricongiungimenti familiari” dei migranti. Quello del controllo dell’immigrazione è infatti uno dei cavalli di battaglia della propaganda leghista, su cui lo stesso Salvini insiste spesso, sfiorando la xenofobia. Venerdì, ad esempio, ha dichiarato: “Per i clandestini è finita la pacchia, devono fare le valigie, con calma, ma se ne devono andare. Sulle Ong stiamo lavorando e ho le mie idee: quello che è certo è che gli Stati devono tornare a fare gli Stati e nessun vice scafista deve attraccare nei porti italiani”. Non è ben chiaro, però, di quale “pacchia” stia parlando, visto che, proprio in queste ore, al largo delle coste turche e tunisine, sono morte, in due naufragi, almeno 50 persone, tra cui sei bambini, mentre in Calabria, nel “ghetto” di San Ferdinando, è stato ucciso un bracciante africano.
ll leader leghista ha inoltre fatto capire che, pure sui diritti civili, questo governo si collocherà molto a destra: “Voglio far parte di un governo con alcune idee chiare. In cui la mamma si chiama mamma e il papà si chiama papà. Non voglio sentir parlare di “genitore 1” e “genitore 2” ha affermato. Sembra pensarla così, del resto, anche il neo-ministro alla Famiglia Lorenzo Fontana, per il quale la famiglia è di un solo tipo, quella “composta da uomo, donna e figli“, mentre le famiglie arcobaleno “per la legge non esistono“, e che ritiene l’aborto “la prima causa di femminicidio nel mondo“, oltre ad aver pubblicato un libro sulla denatalità e ad aver parlato, in un’intervista, di “sostituzione etnica”. Suscita perplessità anche la nomina del leader del M5S Luigi Di Maio a ministro del Lavoro, data la sua giovanissima età e la scarsa preparazione ad un ruolo così importante. Ministro della Salute sarà invece Giulia Grillo, che, su un altro tema “caldo” come quello dei vaccini, rispecchia, in buona parte, l’opinione del M5S, a cui lei stessa appartiene: “Non sono contraria però non ci deve essere l’obbligo” ha infatti più volte affermato. La partita più complicata, come accennato, ha però riguardato il ministero dell’Economia, e. stupisce il fatto che, domenica scorsa, sia divampato uno scontro istituzionale così aspro sulla nomina di Savona a tale dicastero.
Proprio il presidente della Repubblica, dopo che Conte, domenica sera, ha rimesso l’incarico, ha rivolto un messaggio al paese, spiegando che “la designazione del ministro dell’Economia costituisce sempre un messaggio immediato, di fiducia o di allarme, per gli operatori economici e finanziari“, e di aver chiesto che venisse indicato per quel ministero un esponente della maggioranza che “non sia visto come sostenitore di una linea, più volte manifestata, che potrebbe provocare, probabilmente o addirittura inevitabilmente, la fuoriuscita dell’Italia dall’Euro”, ma di aver trovato “indisponibilità a ogni altra soluzione”. Lo stesso Savona, domenica mattina, aveva provato a smorzare le polemiche, spiegando, in un comunicato, di voler semplicemente “un’Europa diversa, più forte ma più equa”. Le ragioni addotte da Mattarella per apporre il “veto” alla sua nomina a ministro dell’Economia non appaiono, quindi, granché fondate, in quanto è abbastanza evidente che l’Unione Europea, per come si è andata consolidando negli ultimi anni, è lontana dal “sogno” dei suoi padri fondatori e mostra molti limiti, con vincoli economici troppo stringenti, soprattutto per l’Italia, per cui dovrebbe essere legittimo porgerle delle critiche e quasi doveroso cercare di migliorarla, senza comunque imbarcarsi in un’impresa assai rischiosa come quella di uscire dalla moneta unica.
Anche il richiamo ai mercati appare esagerato, perché, se è vero che questi sono estremamente suscettibili ad ogni mutamento politico, tuttavia è anche vero che dovrebbe essere la politica a svolgere, per quanto possibile, una funzione di controllo sull’economia, e non questi ad arrivare quasi a condizionare, si direbbe, la nostra democrazia. Sarebbe stato probabilmente più opportuno che dal Quirinale fosse giunta almeno una certa opposizione alla nomina di Salvini a ministro dell’Interno, dato che, come abbiamo visto, egli non smette mai di fare propaganda elettorale sui temi dell’immigrazione e della sicurezza, per cui appare inopportuno l’affidargli un ministero così delicato, così come sarebbe stato meglio che non fosse stato nominato ministro della Famiglia qualcuno con idee nettamente conservatrici al riguardo. Quanto ai provvedimenti di natura economica, invece, ci vorrà probabilmente tempo prima che questo esecutivo porti a casa i due più attesi, ossia il reddito di cittadinanza e la “flat tax”.
Per il primo, che è una misura presente in molti paesi europei e che potrebbe dare una mano a chi è senza lavoro per evitare che finisca in povertà, per ora, probabilmente, ci si limiterà a rafforzare il reddito d’inclusione già varato dal Pd e a riformare i centri per l’impiego, anche perché su di esso il neoministro dell’Economia Tria non sarebbe del tutto entusiasta. Quanto alla “flat tax”, in realtà, secondo il contratto di governo siglato da Movimento 5 Stelle e Lega, le aliquote sarebbero due, una al 15% e una al 20%, e, per finanziarla, il neo-ministro starebbe pensando ad un aumento dell’IVA: in tal modo, però, oltre ad avere poca progressività fiscale, si finirebbe per avvantaggiare i ceti medio-alti a scapito di quelli bassi. In conclusione, insomma, il nuovo governo sembra prospettarsi inevitabilmente sbilanciato a destra, sia sui temi economici, dove una misura giusta come il reddito di cittadinanza viene “compensata” da una scarsa progressività fiscale, sia, soprattutto, per le politiche riguardanti l’immigrazione, la sicurezza e i diritti civili, dove, anzi, viene quasi da temere che il nuovo esecutivo, coerentemente alla propaganda della Lega, suo attore principale, sappia solo fare la faccia grossa contro gli ultimi e gli emarginati.