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L’Italia non è un paese per giovani (e neanche per quarantenni)

Secondo il rapporto "Italiani nel mondo 2017", sempre più italiani, soprattutto giovani, cercano lavoro all'estero, mentre, secondo il rapporto "Preventing Ageing Unequally" dell'Ocse, in Italia il divario fra le varie generazioni è cresciuto sempre di più.

L’Italia non è un paese per giovani (e neanche per quarantenni) 19 Ottobre 2017Lascia un commento

Sono nato nel 1982 a Roma, e sono sempre vissuto, e vivo tuttora, nel quartiere Balduina, a cui sono molto affezionato e che considero uno dei migliori della città, ma di cui, al tempo stesso, conosco pure i difetti e gli aspetti che andrebbero migliorati.

Sono sempre di più gli italiani che tentano di costruirsi un futuro lavorativo all’estero: circa cinque milioni, ossia l’8,2%, secondo il rapporto “Italiani nel mondo 2017” della Fondazione Migrantes della Cei, presentato martedì a Roma, il 3,3% in più rispetto all’anno precedente. E la fascia d’età in cui questo fenomeno è prevalente è proprio quella dei giovani fra i 18 e i 34 anni, che costituiscono oltre il 39% di chi ha lasciato l’Italia nell’ultimo anno, e sono il 23,3% in più rispetto all’anno precedente. In aumento (del 12,5% rispetto all’anno precedente) anche gli italiani fra i 35 e i 49 anni che tentano la fortuna all’estero, ma vi è un 9,7% costituito anche da persone fra i 50 e i 64 anni, i cosiddetti “disoccupati senza speranza” rimasti senza lavoro in un’età in cui è ancora più difficile trovarlo, e un 5,2% composto da ultra-sessantacinquenni che, invece, sono per lo più i genitori dei giovani che tentano una nuova vita all’estero. Dietro a queste cifre, si cela un problema sempre più grande, direi anzi gigantesco, se non drammatico: l’Italia è ormai un paese che ha ben poco da offrire, in termini lavorativi, ai suoi giovani, e dove pure chi rimane senza lavoro in età più avanzata ha enormi difficoltà, poi, a trovarne un altro.

Mercoledì, invece, è uscito il rapporto “Preventing Ageing Unequally” dell’Ocse, nel quale si rileva che “già oggi l’Italia è uno dei più vecchi Paesi” fra gli appartenenti alla stessa organizzazione, e, se non ci sarà un’inversione di tendenza, nel 2050 vi saranno 74 ultra-sessantacinquenni ogni 100 persone nella fascia tra i 20 e i 64 anni, contro i 38 di adesso, e il nostro sarà quindi il terzo paese più vecchio del mondo, dietro a Giappone e Spagna. Secondo l’Ocse, insomma, l’Italia “non è un Paese per giovani”, anche perché, si sottolinea sempre nel rapporto, negli ultimi trent’anni il divario fra le varie generazioni è cresciuto sempre di più, al punto che, fra il 2000 e il 2016, il tasso di occupazione è cresciuto del 23% fra le persone tra i 55 e i 64 anni, ma solamente dell’1% per le persone fra i 24 e i 55 anni, ed è crollato dell’11% per i giovani fra i 18 e i 24 anni. Il tasso di povertà è inoltre salito fra i giovani, ma è calato fra gli anziani. Solo una settimana fa, inoltre, gli studenti delle superiori e dell’università erano scesi in piazza per protestare contro la cosiddetta “alternanza scuola-lavoro”, che spesso, affermavano probabilmente non a torto, può celare forme di “sfruttamento del lavoro gratuito“.

Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istat e riferiti ad agosto 2017, invece, la fascia d’età che se la passerebbe peggio sarebbe quella tra i 35 e i 49 anni, poiché in tale fascia vi sarebbero circa 996 mila disoccupati, gli occupati sarebbero 147mila in meno rispetto all’anno precedente e gli inattivi, ossia quanti rinunciano anche a cercare lavoro, lo 0,2% in più: per questa fascia d’età, infatti, non vi sono i (seppur scarsi) incentivi previsti per i più giovani o, in parte, per chi ha più di 50 anni. Appare quindi indispensabile che le classi dirigenti si preoccupino di creare posti di lavoro, per i giovani e non solo, mettendo in campo però politiche radicalmente diverse da quelle attuate finora, che di fatto, con il famoso “Jobs Act”, ad esempio, hanno mirato per lo più a rendere il lavoro “flessibile”, riducendo però, in pratica, i diritti dei lavoratori, mentre l’occupazione non è aumentata, a parte, appunto, per i contratti a tempo determinato, e in buona parte grazie agli incentivi del governo per chi assume, che, infatti, sembra vengano riconfermati anche nella legge di bilancio 2017. Una seria politica industriale e del lavoro, assieme a sussidi per chi rimane senza di esso e a misure per ridurre le disuguaglianze, sono oramai pressoché indispensabili per non condannare questo paese al declino e per non lasciare senza futuro le giovani generazioni e, anche, senza speranza quelle intermedie.

Sono nato nel 1982 a Roma, e sono sempre vissuto, e vivo tuttora, nel quartiere Balduina, a cui sono molto affezionato e che considero uno dei migliori della città, ma di cui, al tempo stesso, conosco pure i difetti e gli aspetti che andrebbero migliorati.

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