Hanno destato forse non sufficiente attenzione le durissime parole pronunciate dall’Alto commissario Onu per i diritti umani, il principe giordano Zeid Raad al-Hussein, nei confronti della politica europea, e in particolare italiana, in materia di immigrazione: “La politica dell’Unione Europea di assistere la guardia costiera libica nell’intercettare e respingere i migranti nel mediterraneo è disumana. La sofferenza dei migranti detenuti in Libia è un oltraggio alla coscienza dell’umanità” ha affermato infatti al-Hussein. Dall’Unione Europea, una portavoce ha spiegato che “l’Ue lavora in Libia in piena collaborazione con l’Onu, esattamente perché la nostra priorità è sempre stata e continuerà ad essere quella di salvare vite, proteggere le persone e combattere i trafficanti”, e ha poi concordato sul fatto che “i campi di detenzione in Libia devono essere chiusi“ perché “la situazione è inaccettabile“. La Cnn, invece, in un suo reportage, ha mostrato come in Libia si svolgano delle vere e proprie compravendite di esseri umani, che vengono venduti all’asta come schiavi.
Purtroppo, però, è noto da tempo che avvengano torture nei campi per migranti in Libia, campi dove essi vengono respinti anche in seguito agli accordi stipulati dal governo italiano con le autorità libiche: lo scorso 28 settembre, ad esempio, il commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa Nils Muiznieks aveva inviato una lettera, rimasta tuttora senza risposta, al ministro degli Interni Marco Minniti in cui si chiedevano chiarimenti in merito a tali accordi, e in cui si sosteneva che “consegnare individui alle autorità libiche o ad altri gruppi in Libia li espone a un rischio reale di tortura o trattamenti inumani o degradanti”. Sempre a fine settembre, il “New York Times” e il “Washington Post” avevano pubblicato due articoli assai critici con le politiche dell’Italia in tema di immigrazione, e il primo quotidiano sosteneva che l’Italia avesse pagato le milizie libiche o gli stessi trafficanti di esseri umani affinché fermassero il flusso migratorio, mentre il secondo evidenziava le possibili conseguenze a lungo termine di tali accordi. Mercoledì, a ventiquattr’ore di distanza dalla denuncia dell’Alto commissario Onu, il ministro degli Interni Marco Minniti ne ha parlato alla Camera, rispondendo a un’interrogazione di Mdp, ma ha di fatto confermato la sua strategia, quella, appunto, degli accordi con le autorità libiche: “Se l’Unhcr ha potuto visitare i centri in Libia, lo si deve anche all’impegno del nostro paese” ha affermato, rivendicando anche alcuni risultati raggiunti, come i “9353 rimpatri volontari verso i Paesi di origine“, il “piano italiano di aiuti umanitari coordinato con i sindaci libici”, o il “bando per l’attività delle Ong in territorio libico” di cui si sta occupando la cooperazione italiana.
Quanto alle torture che avvengono nei campi libici, Minniti si è limitato a dire che “per noi la questione dei diritti umani è, era e sarà irrinunciabile“. Per il ministro, insomma, “l’alternativa non può essere quella di rassegnarsi all’impossibilità di governare i flussi migratori e consegnare ai trafficanti di esseri umani le chiavi delle democrazie europee”. Il governo italiano, dunque, sapeva, forse da tempo, di quanto avviene nei campi per migranti in Libia, ma, ciò nonostante, forse per non perdere consensi presso un’opinione pubblica assai spaventata dal fenomeno dell’immigrazione, ha finto di non vedere, preferendo stringere accordi con le stesse autorità libiche affinché questo paese riesca a “trattenere” un maggior numero di migranti. Il ministro dell’Interno potrà, si, rivendicare altri risultati, ma, sottoscrivendo tali accordi, si è in qualche misura reso, e ha reso anche il nostro paese, complice di quanto sta avvenendo lì, a meno che non si adoperi per far cessare quanto prima le torture e le gravi violazioni dei diritti umani.
Un’altra gravissima responsabilità la porta però l’Europa, che, di fronte al fenomeno dell’immigrazione, ha preferito spesso erigere muri, lasciando di fatto da sola l’Italia, che, per la sua posizione geografica, è più “esposta” ai flussi migratori: i circa 180 mila migranti che sono giunti sulle nostre coste nel 2016, o i circa 110 mila che sono sbarcati dal 1 gennaio al 31 ottobre 2017, non dovrebbero, infatti, essere un numero tale da far parlare di “invasione” o di “emergenza”, come invece spesso, purtroppo, è stato, ma certamente sarebbero molto più facilmente gestibili se l’Europa se ne facesse maggiormente carico, dato che oltretutto, molti di loro hanno come meta non l’Italia, ma altri paesi europei. Sarebbe poi necessario agire “a lungo termine” sulle cause delle migrazioni, dato che queste persone non lasciano certo la loro terra per piacere, ma per sfuggire alle tante guerre o conflitti locali, di cui spesso ignoriamo l’esistenza e che, però, insanguinano i vari angoli del pianeta, e sono magari combattute con armi “esportate” dall’Occidente, o per sfuggire alla fame, che pure, soprattutto nel continente africano, miete innumerevoli vittime. Finora, però, anche da questo punto di vista si è fatto ben poco, visto che solo sei dei trenta paesi membri dell’Ocse hanno mantenuto l’impegno di devolvere almeno lo 0,7% del Pil alla cooperazione internazionale, e l’Italia, con il suo 0,26%, vi è ben lontana.