Stiamo attraversando un momento storico assai difficile e delicato, a causa della pandemia da Coronavirus, che imperversa ormai da quasi due anni, e di tutti i suoi effetti, non solo sulla salute delle persone, ma anche, ad esempio, sull’economia, e dei suoi tanti risvolti ed implicazioni. Oggi, certamente, la situazione sembra essere migliore rispetto a un anno fa, grazie ai vaccini, che proteggono dalle forme più gravi della malattia e dai possibili decessi legati a questa e riducono il rischio di contagio, tuttavia, con la nuova variante Omicron, che è estremamente contagiosa, anche se forse meno letale, i casi, nell’ultimo mese e mezzo, sono aumentati di molto, prima in diversi Paesi europei, dove si è arrivati anche a trecentomila al giorno, e poi, purtroppo, pure in Italia, dove si sono raggiunti i duecentomila al giorno. I decessi giornalieri, però, solo nelle ultime settimane sono aumentati, attestandosi intorno ai 300 al giorno, ma sono leggermente meno, comunque, rispetto all’anno scorso, quando, in questo periodo, si registravano anche 4-500 morti ogni 24 ore, e ciò nonostante non vi siano quasi più restrizioni né chiusure, anche se buona parte delle regioni sono tornate ad essere “zona gialla”.
Con i vaccini, però, che pure, al momento, rimangono la principale arma contro il Coronavirus, si sono aperte anche tantissime polemiche riguardo alla loro somministrazione, dato che non tutti hanno provveduto a farsi vaccinare, per paura di possibili effetti collaterali o generale scetticismo e diffidenza verso la scienza “ufficiale” e i governi, che, invece, hanno insistito molto sull’importanza di tale gesto, per preservare la salute propria e quella della collettività. Già da quest’estate, anzi, gli esecutivi di diversi Paesi, fra cui l’Italia è stata tra i primi, hanno iniziato ad introdurre misure volte ad incentivare le vaccinazioni, in maniera, però, quasi coercitiva, con il “green pass”, ottenibile, appunto, dopo essersi vaccinati o avendo effettuato da meno di 72 ore un tampone molecolare risultato negativo, o da meno di 48 ore un tampone antigenico rapido. Nel nostro Paese, esso, all’inizio, era necessario soltanto per mangiare al chiuso nei ristoranti, viaggiare sui treni a lunga percorrenza e alcune altre attività a carattere ricreativo, ma, dal 20 novembre, esso è stato reso obbligatorio anche per lavorare, e, dal 6 dicembre, è stato introdotto il “super green pass”, ottenibile solo con la vaccinazione o dopo essere guariti dal Covid e che è indispensabile per mangiare al ristorante o andare al cinema e al teatro, e dal 10 gennaio, è
necessario anche per prendere i treni o salire sui mezzi. Dal 1 febbraio, inoltre, il green pass “base” sarà obbligatorio anche per l’accesso a molte attività commerciali e agli uffici pubblici.
Inizialmente si sosteneva che il “green pass” contribuisse a rendere gli ambienti sicuri, garantendo la presenza solo di persone vaccinate o, comunque, che hanno effettuato tampone negativo, e quindi consentisse di tenere aperti ristoranti e bar, dove si utilizzano meno le mascherine, ma si è visto che, comunque, anche i vaccinati possono contagiare, sebbene abbiano una carica virale minore e contagino di meno, quindi è chiaro che lo scopo principale di questo strumento è quello di indurre indirettamente alla vaccinazione. Lo scorso 5 gennaio, poi, è stato, alla fine, introdotto l‘obbligo vaccinale per tutte le persone di età superiore ai 50 anni, che sarà in vigore dal 1 febbraio e che prevedera’, per quanti non vi avranno adempiuto a quella data, una semplice multa di cento euro. Dalla fine dell’estate, quindi, si sono tenute molto spesso le proteste dei “no green pass”, ossia di quanti sono contrari a questa misura, spesso perché non si vogliono vaccinare e reputano troppo oneroso, anche in termini economici, il doversi sottoporre a tampone ogni due o tre giorni pure per lavorare. Il 9 ottobre, in particolare, si è tenuto a Roma un corteo non autorizzato di “no green pass” a cui hanno aderito anche diversi esponenti del partito neofascista Forza Nuova, che hanno attaccato la sede della Cgil. È evidente, quindi, quanto questa tematica dei vaccini, e anche dei provvedimenti adottati dal governo, risulti essere divisiva, e tenda a polarizzare le opinioni di quanti sono favorevoli ai vaccini e, ancor di più, di quelli che sono ad essi contrari.
Va detto, però, che chi non si è ancora vaccinato, o magari ha esitato molto a farlo, non necessariamente è mosso da qualche particolare ideologia politica o da una forte avversione nei confronti del governo, né è per forza più incline alla violenza, ma, in diversi casi, semplicemente ha delle paure, sicuramente eccessive e poco razionali, nei confronti di questo vaccino, e non per questo va particolarmente demonizzato. Purtroppo, però, da tutte e due le “parti” sembra mancare la volontà di ascoltare le ragioni o le motivazioni dell’altra parte, e anche la strada intrapresa dall’esecutivo, con l’adozione del “green pass” pure per lavorare e la progressiva estensione di questo strumento, sembra tendere più a cercare di ottenere il maggior numero possibile di persone vaccinate, anche se, da quando esso è stato introdotto, tale numero non è aumentato in maniera così netta, senza, però, tenere conto del modo in cui si raggiunge tale obiettivo. E’ forse preferibile la strategia, intrapresa solo da pochi giorni, dell’obbligo vaccinale, anche con sanzioni pecuniarie più consistenti, e su cui però le forze politiche, anche nella stessa maggioranza, erano divise, rispetto a quella di un obbligo “indiretto” con il green pass così esteso, che pero’ limita fortemente le libertà di quanti non sono vaccinati ed appare esageratamente punitivo nei loro confronti. Molti Paesi, comunque, hanno intrapreso provvedimenti per spingere la popolazione a vaccinarsi, ma l’Italia è stata tra le prime, e molte nazioni già stanno rivedendo tali misure. Anche la continua presenza, sui media, di virologi, scienziati ed “esperti” che danno la loro opinione sull’andamento della pandemia, ma, in diversi casi, sono in disaccordo fra di loro può ingenerare, nell’opinione pubblica, confusione e sfiducia nella scienza, mentre sarebbe, forse, più opportuno che vi siano poche, o al limite un’unica sola voce ufficiale.
Un’altra questione su cui occorre riflettere riguarda, invece, lo stato di emergenza, emanato una prima volta il 31 gennaio 2020, proprio per gestire più celermente la situazione sanitaria, e che, da allora, è stato prorogato già tre volte, ma sarebbe scaduto il 31 dicembre di quest’anno, per cui è stato prorogato fino al 31 marzo 2022. Esso, però, per come era stato concepito, avrebbe dovuto avere una durata massima di 24 mesi, per cui sarebbe dovuto terminare entro il 31 gennaio 2022. Anche qui, però, occorrerebbe capire se sussistano effettivamente le condizioni che richiedano di mantenere lo stato di emergenza, e quindi di operare in una maniera straordinaria, o non sia preferibile, almeno da un punto di vista, per così dire, formale, che si torni ad agire rispettando le procedure consuete. Fino all’estate scorsa, del resto, si era puntato molto, per gestire la situazione pandemica, sulle chiusure di ristoranti, bar e palestre, con le zone “a colori” (un sistema ancora in vigore) e su un coprifuoco alle 22 che potevano, da una parte, contenere la circolazione del virus, con dei limiti alla mobilita’ delle persone, ma, al tempo stesso, oltre a creare seri problemi economici a quanti lavorano in alcuni settori, andavano persino ad intaccare le nostre libertà, come quella di trovarsi fuori casa in determinati orari, e potevano, quindi, anche incidere, almeno in parte, sul nostro benessere psicologico, specie dei più giovani.
Tali misure, per quest’inverno, ancora non sono state reintrodotte, a parte le regioni diventate “zona gialla”, e ciò grazie alle vaccinazioni, che hanno ridotto notevolmente il numero dei morti e il tasso di occupazione degli ospedali, tuttavia vi è da auspicare che, prima, eventualmente, di ripristinarle, si rifletta bene sui loro possibili vantaggi e, soprattutto, sugli svantaggi. Sarebbe poi necessario, anzi, è necessario già da quando si è iniziata la distribuzione dei vaccini, che si arrivi alla liberalizzazione dei brevetti sugli stessi, in modo da favorire la loro diffusione anche nei paesi del Terzo Mondo, dove finora è stato vaccinato solamente il 10 per cento circa della popolazione, e ciò non solo per tutelare la salute degli abitanti di tali nazioni, ma proprio nell’ottica di contenere, a livello globale, la diffusione del virus e lo sviluppo di nuove varianti. È, soprattutto, auspicabile che i governi, anche quello italiano, inizino a considerare, a prescindere dal verificarsi o meno di pandemie, la salute come un bene fondamentale, e quindi a non lesinare più risorse, innanzitutto economiche, al settore della sanità pubblica, come invece, purtroppo, è avvenuto troppo spesso negli ultimi anni.