E’ possibile dal 6 marzo fare domanda per il reddito di cittadinanza, la misura di contrasto alla povertà fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle, e anche molto discussa, sia perché non si sapeva se il governo sarebbe riuscito a trovare i 7-8 miliardi necessari ad attuarla, sia perché in molti ne hanno criticato l’efficacia reale, sostenendo che potrebbe divenire, in sostanza, una sorta di incentivo a non lavorare. Il decreto al cui interno è contenuto questo provvedimento, in realtà, è ancora alla Camera per la seconda lettura e la successiva conversione in legge, e solo dal 15 aprile l’Inps renderà disponibili i primi esiti delle istanze, mentre dal 19 aprile le Poste dovrebbero cominciare a chiamare quanti ne beneficeranno per il ritiro delle card con i primi fondi già pre-caricati. Intanto, nei primi cinque giorni, sono giunte a Poste Italiane oltre 122 mila domande per ottenere il reddito, e, a sorpresa, la maggior parte di esse provengono da una regione del Nord, ossia la Lombardia, seguita da Campania, Lazio, Sicilia e Piemonte. Il sussidio ammonta a 780 euro al mese per un single disoccupato che non percepisce nessun altro tipo di reddito, che aumentano poi con il crescere del nucleo familiare, e possono arrivare fino ad un massimo di 3120 euro per un nucleo formato da 7 adulti.
Per ottenerlo è necessario avere la cittadinanza italiana, di Paesi dell’Unione Europea o un permesso di soggiorno a lungo termine, avere anche la residenza italiana da almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in maniera continuativa, avere un Isee non superiore ai 9.360 euro, possedere un patrimonio economico non superiore ai seimila euro (che aumentano fino a ventimila per le famiglie con persone disabili) e un reddito familiare inferiore a seimila euro, che possono arrivare fino a 9.360 per le famiglie che abitano in locazione. Inoltre, per chi possiede una casa, l’importo del reddito scende a circa cinquecento euro, perché 280 euro sarebbero per un ipotetico affitto, e, oltre la prima casa, non si può avere un patrimonio immobiliare superiore ai trentamila euro. La misura viene erogata per diciotto mesi, scaduti i quali, se si hanno ancora i requisiti, si può ottenere una proroga di altri diciotto. I beneficiari del reddito di cittadinanza saranno inoltre tenuti a partecipare, per otto ore a settimana, a progetti utili alla società, e soprattutto a cercare attivamente un lavoro (a parte gli over 67, per i quali si parla di “pensione di cittadinanza”): nei primi sei mesi in cui se ne usufruisce va dunque accettata qualsiasi proposta entro i cento chilometri dalla propria residenza, nei successivi sei mesi bisogna accettare qualunque offerta entro i duecentocinquanta chilometri, dopo dodici mesi va accettata la proposta ovunque, pena la perdita del sussidio.
Quello introdotto dal governo, infatti, assomiglia di più ad un reddito minimo garantito, essendo comunque condizionato all’essere sotto la soglia di povertà e al cercare un lavoro, mentre il reddito di cittadinanza vero e proprio, in teoria, è una misura universale e incondizionata. Perché, allora, essa è stata oggetto di tante critiche, persino da quello che (forse a torto) è considerato il principale partito di centrosinistra, ossia il Pd, quando, in passato, era un “cavallo di battaglia” della sinistra radicale? Molte obiezioni, va precisato, non riguardavano tanto l’opportunità di introdurre o meno il reddito, ma semplicemente il modo in cui esso verrebbe attuato. Secondo Confindustria, ad esempio, tale misura richiederebbe un “eccezionale contributo” del sistema dei Centri per l’impiego, un sistema che però, ha spiegato l’associazione degli industriali durante un’audizione in Senato, “non riesce ad intermediare una parte significativa delle assunzioni” ed è organizzato male, una critica, questa, mossa anche dai sindacati. Pure le associazioni che si occupano della povertà hanno sollevato alcune perplessità.
La Caritas, in primo luogo, ha lamentato il mancato coinvolgimento di tali enti nell’elaborazione di questa misura e il fatto che i beneficiari vengono scelti solamente fra i disoccupati, quando la povertà non sarebbe riconducibile solamente alla mancanza di lavoro, e non sarebbe adeguatamente considerata la presenza di minori nel nucleo familiare, un’obiezione sollevata anche dalla Fondazione l’Albero della Vita, mentre, per la Comunità di Sant’Egidio, il requisito di residenza per almeno dieci anni finirebbe per escludere i senza fissa dimora. Si tratta, comunque, di critiche solo su alcuni aspetti di tale provvedimento, ben diverse, quindi, da quelle mosse da diversi esponenti politici, come l’ex premier Matteo Renzi, per il quale esso “non è di sinistra e anche se lo fosse non è giusto”, ma anzi “è un grandissimo elogio a chi non vuol fare le cose“. Addirittura, nel Pd, c’era chi, come il renziano Sandro Gozi, voleva lanciare un referendum abrogativo dello stesso, un’idea accarezzata anche dall’ex ministro Maria Elena Boschi, anche se poi tramontata.
Sembra però paradossale che un partito considerato di centrosinistra, forse anche per motivi di polemica politica con il Movimento 5 Stelle, sia contrario ad una misura che, pur con tutti i suoi limiti, vuole comunque aiutare chi è in difficoltà economiche, ed è invece offensivo chiamare “fannulloni” quanti ne beneficerebbero, come hanno fatto diversi giornali di destra. L’intento di tale provvedimento appare invece nobile, specie se si considera che, nel nostro Paese, cinque milioni di persone sono in una condizione di povertà assoluta, il dato più alto d’Europa, ma in quasi tutti gli altri stati europei, tranne l’Italia e la Grecia, vi sono misure come questa. Va però riconosciuto che già il governo Gentiloni aveva introdotto un piccolo sussidio ai meno abbienti, con il REI (Reddito di inclusione), che però riguardava una platea meno vasta di soggetti, ai quali, soprattutto, andava una cifra assai più piccola ( circa 190 euro per un “single”, quasi 490 per una famiglia di almeno cinque persone).
E’ comunque in parte comprensibile anche quanto paventato da Confindustria, ossia che potrebbe non essere facile ricevere, come previsto, tre offerte di lavoro “congrue” in diciotto mesi, così come potrebbe essere vero che il ricevere mensilmente 780 euro potrebbe finire con lo scoraggiare la ricerca di un lavoro, dato che, per moltissimi lavori, lo stipendio si aggira intorno ai 7-800 euro, tuttavia sarebbe compito proprio dei datori di lavoro (quindi anche degli industriali) garantire a tutti stipendi dignitosi. Al limite, proprio per impedire il verificarsi di situazioni paradossali per cui, pur non lavorando, si finisce con il percepire una somma uguale o addirittura superiore ad uno stipendio vero e proprio, si potrebbe rivedere leggermente verso il basso l’ammontare del reddito di cittadinanza, fissandolo casomai intorno ai seicento euro. E’ comunque senz’altro positivo che vi sia una misura del genere, volta al contrasto della povertà, pur con diversi difetti, anche se occorrerebbe, al tempo stesso, cercare di creare nuovi posti di lavoro, combattendo la precarietà e il lavoro “in nero” e facendo in modo che essi siano adeguatamente remunerati.