Si sta parlando molto, negli ultimi giorni, della vicenda della nave Sea Watch, che si trova ormai da quindici giorni a largo di Lampedusa, con a bordo, al momento, quaranta migranti (dieci sono stati fatti scendere subito, e altri due nella tarda serata di ieri, per motivi di carattere medico), alla quale il ministro dell’Interno Matteo Salvini ha imposto il divieto di sbarco previsto dal decreto Sicurezza bis. Uno dei migranti presenti sulla nave, in un video pubblicato da Forum Lampedusa Solidale, aveva lanciato un appello dicendo: “Siamo stanchi, siamo esausti. Fateci scendere. Immaginate come deve sentirsi una persona che è scappata dalle carceri libiche e che ora si trova sui, costretta in uno spazio angusto, seduta o sdraiata senza potersi muovere. Inevitabilmente rischia di sentirsi male. Non ce la facciamo più, la barca è piccola e non possiamo muoverci. Non c’è spazio. L’Italia non ci autorizza a sbarcare, chiediamo il vostro aiuto, chiediamo l’aiuto delle persone a terra. Pensateci perché qui non è facile”.
I migranti si erano inoltre rivolti alla Corte Europea dei diritti dell’uomo per chiedere “misure provvisorie” che li facciano sbarcare in Italia, mentre il capitano tedesco della nave, Carola Rackete, intervistata da Repubblica, aveva dichiarato di essere intenzionata a portarli “in salvo a Lampedusa”. Nel pomeriggio di martedì, però, la Corte ha respinto il ricorso, pur chiedendo alle autorità italiane di “fornire tutta l’assistenza necessaria alle persone in situazione di vulnerabilità”. Sea Watch Italy ha fatto sapere in un tweet che i migranti a bordo, ora, “sono disperati. Si sentono abbandonati”. Intanto una portavoce dell’esecutivo Ue ha fatto sapere che, una volta che i migranti saranno sbarcati, l’Unione Europea gestirà il loro ricollocamento nei vari paesi. Salvini aveva invece scritto una lettera al suo omologo olandese in cui si diceva “incredulo perché si stanno disinteressando di una nave con la loro bandiera, peraltro usata da una ong tedesca, che da ormai undici giorni galleggia in mezzo al mare“.
Su questo punto, però, il capitano Rackete aveva tagliato corto dicendo: “È ridicolo, bisognerebbe circumnavigare l’Europa. Oltretutto anche l’Olanda non collabora”. A margine del G20 di Osaka vi è stato anche un lungo colloquio tra il premier italiano Giuseppe Conte e quello olandese Mark Rutte, proprio per discutere di tale questione, sulla quale Conte, arrivando a Osaka, aveva espresso la “forte irritazione” italiana. Il ministro dell’Interno, inoltre, starebbe pensando di porre come condizione per lo sbarco la distribuzione dei migranti nei paesi dell’Unione Europea senza registrazione in Italia, e si attende che, in base al decreto sicurezza, venga disposto anche il sequestro della nave, che può scattare solo in caso di “reiterata” violazione del divieto di ingresso, perché questa, dopo essere entrata nelle acque territoriali italiane, ha poi acceso i motori e si è ulteriormente avvicinata a Lampedusa.
E’ evidente, dunque, come, per l’ennesima volta, sulla pelle di questi disperati si stia giocando una partita tutta politica, che vede contrapposti il governo italiano e l’Unione Europea, laddove, però, ne al primo, né alla seconda, in realtà, importa granché dei migranti, ma l’esecutivo italiano, e in particolare il ministro dell’Interno, sembrano più che altro volerci speculare sopra per motivi di propaganda politica, quasi come se fossimo perennemente in campagna elettorale, oltre a cercare che sia anche l’Europa ad occuparsene, mentre, fra tutte le altre nazioni europee, nessuna sembra disposta ad accoglierli. Se, quindi, da una parte il governo italiano non può continuare a basare la sua linea unicamente sull’ideologia dei “porti chiusi” tanto cara alla sua componente leghista, senza minimamente tenere conto, con un cinismo inaudito, del fatto che questa nave, con a bordo persone allo stremo, era ormai vicina all’Italia, dall’altra sia gli altri paesi europei presi singolarmente, sia l’istituzione europea, dovrebbero farsi carico anche loro della gigantesca questione dell’immigrazione, innanzitutto collaborando ad un’equa redistribuzione dei migranti.
Gli stessi principi di rispetto dei diritti umani sui quali sia il nostro Paese, nella sua Costituzione, sia la stessa Unione Europea si basano rischiano altrimenti di rimanere carta straccia, se non si è disposti a fornire una prima accoglienza a quanti provengono da luoghi nei quali tali diritti non vengono rispettati. Ciò non vuol, dire, però, che si debba accogliere sempre e comunque tutti senza regole, ma perlomeno far sbarcare al più presto sulla terraferma questi migranti, visto che si trovano ormai da quindici giorni sulla nave, in condizioni non proprio agevoli, e successivamente verificare chi ha il diritto di rimanere in Italia e chi, invece, dovrebbe tornare nel suo paese d’origine. Chiaramente, poi, l’Italia si trova in una posizione, per così dire, svantaggiata, a causa del suo affacciarsi nel bel mezzo del Mediterraneo, ed è penalizzata anche dal Regolamento di Dublino, che stabilisce che lo Stato dell’Unione Europea competente ad esaminare la domanda d’asilo sarà quello in cui il richiedente asilo ha fatto il suo ingresso nell’Unione Europea, quindi spesso il nostro Paese, ma tale regolamento, nella sua seconda versione del 2003, fu firmato anche dal governo di centrodestra, di cui la Lega faceva parte, e tale partito, negli ultimi due anni, non ha partecipato a nessuna delle 22 riunioni di negoziato svoltesi in sede europea per riformarlo.
Tutte queste disquisizioni lasciano, però, il tempo che trovano, se si considera che 40 persone sono ancora su quella nave, a un miglio di Lampedusa, dato che l’Italia è il “porto sicuro” più vicino, e che però, dopo quindici giorni, ancora non vengono fatte sbarcare, e si trovano quindi in un forte stato di prostrazione psicologica, spesso dopo aver già subito gli orrori delle carceri libiche. La politica non dovrebbe mai scendere ad un livello tale di disumanità tale da infliggere ulteriori e gratuite sofferenze a queste persone, così come non dovrebbe disinteressarsi della vita di quanti tentano di attraversare il Mediterraneo e, purtroppo, non ce la fanno, visto che tali drammi avvengono ancora, ma, non essendoci quasi più le Ong in quel tratto di mare, semplicemente non se ne parla più.