Si è aperta negli ultimi giorni una polemica piuttosto aspra tra Italia e Francia, che ha sfiorato anche lo scontro diplomatico, dato che il ministero degli Esteri francese ha convocato l’ambasciatrice italiana a Parigi Teresa Castaldo. A innescare tale polemica, le parole del vicepremier Luigi Di Maio, che, intervenendo ad una manifestazione del Movimento 5 Stelle, ha affermato, a proposito di immigrazione, che “ci sono paesi, come la Francia che in Africa continua ad avere delle colonie di fatto, con la moneta, che è il franco, che continua a imporre nelle sue ex colonie”, soldi “che usa per finanziare il suo debito pubblico e che indeboliscono le economie di quei paesi da dove, poi, partono i migranti”. Di Maio si era spinto inoltre a dire che “l’Unione Europea dovrebbe sanzionare queste nazioni come la Francia che stanno impoverendo questi posti ed è necessario affrontare il problema anche all’Onu”. Un altro esponente di spicco del Movimento, Alessandro Di Battista, parlando domenica alla trasmissione “Che tempo che fa”, aveva affermato: “Se non affrontiamo il tema della sovranità monetaria in Africa non ne usciamo».
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte, invece, ha provato a gettare acqua sul fuoco dicendo: “Legittimo interrogarsi sull’efficacia delle politiche globali che stiamo perseguendo sia a livello di Unione europea sia a livello di Stati singoli». Il che «non vuol dire mettere in discussione la nostra storica amicizia con la Francia, né tantomeno con il popolo francese”. Oggetto dello scontro tra Roma e Parigi è dunque lo sfruttamento del territorio africano da parte della Francia, che avverrebbe, appunto, anche tramite il franco CFA, moneta adottata in quattordici paesi africani, quasi tutti ex colonie francesi, uno sfruttamento che, impoverendo tali nazioni, spingerebbe poi molti loro abitanti a migrare verso l’Europa. Riguardo a quest’ultimo punto, va detto però che, secondo i dati degli sbarchi forniti dal Viminale, fra i primi dieci Paesi di provenienza dei migranti ne comparirebbero solo due che adoperano tale moneta, la Costa d’Avorio e il Mali, da cui sarebbero giunte poco più di 1800 persone.
Quanto al fatto che il franco CFA ostacolerebbe lo sviluppo di tali nazioni, in realtà, si dibatte da decenni su questa moneta (che in realtà sarebbero due, il franco CFA-CEMAC, dove quest’ultima sigla sta per Comunità economica e monetaria dell’Africa centrale, e il franco CFA-UEMOA, ossia dell’Unione economica e monetaria ovest-africana) : essa, infatti, sarebbe il frutto di un accordo siglato nel 1945 tra la Francia e questi quattordici stati e rimasto in vigore anche dopo la loro indipendenza, un accordo dal quale, però, essi, volendo, possono uscire e adottare una moneta diversa. Gli obiettivi di questa valuta unica erano, del resto, simili a quelli dell’Euro, ossia garantire la stabilità dei prezzi e rinforzare gli scambi commerciali fra questi paesi . Secondo i suoi detrattori, però, essendo il franco CFA ancorato ad una moneta forte come l’Euro, queste nazioni non possono svalutare la loro moneta per rendere competitive le loro esportazioni, e ciò a scapito degli imprenditori e, soprattutto, dei contadini, che devono fare i conti con i prezzi delle derrate europee, tenuti bassi grazie ai sussidi comunitari. Va inoltre ricordato che sia la BCEAO che la BEAC, le banche che emettono i due tipi di franco CFA, hanno la loro sede principale a Parigi, e che la Francia “trattiene” il 50% delle riserve monetarie degli stati che adottano tali monete.
Inoltre, da questa moneta, in teoria, si può uscire liberamente, ma molti leader africani che intendevano fare ciò non hanno fatto una buona fine, basti pensare all’ex presidente del Burkina Faso Thomas Sankara, o a Sylvanus Olimpio, primo presidente eletto del Togo, che il 10 gennaio 1963 ordinò di stampare una moneta nazionale e tre giorni dopo venne assassinato da uno squadrone di soldati appoggiati dalla Francia. A parte il franco CFA, comunque, Parigi ha sempre mantenuto una forte influenza su quelle che, fino agli Cinquanta e Sessanta del Novecento, erano state sue colonie in territorio africano: sarebbero oltre 40, infatti, gli interventi militari sostenuti dalla Francia, tra quelli in difesa di regimi filo-francesi e quelli, invece, contro leader poco graditi, ad esempio in Gabon, Togo, Mauritania, Mali, Ciad, Repubblica Centrafricana, Tunisia, Ruanda e Libia. La Francia, del resto, avrebbe notevoli interessi nello sfruttamento delle materie prime africane, come l’uranio del Niger, l’oro del Mali o il petrolio del Senegal, e sarebbe fortemente presente nel continente anche con le sue multinazionali, come la Total. Parigi sarebbe comunque in ottima compagnia, perché buona parte dei paesi Occidentali sfruttano le risorse africane o appoggiano, direttamente o indirettamente, leader politici locali a loro più graditi.
Anche l’Italia, in questo, non è stata molto da meno: la sua ENI, infatti, è presente in ben 14 paesi africani, dove opera per l’estrazione di petrolio e gas naturale, ed è però anche oggetto di numerose inchieste giudiziarie per pesanti accuse di corruzione a scapito di alcuni di questi Paesi, come Algeria e Nigeria. Di recente alla presenza delle potenze occidentali in territorio africano si è aggiunta quella della Cina, ancora più spregiudicata nel difendere i suoi affari disinteressandosi del rispetto dei diritti umani. Più in generale, comunque, noi stessi dovremmo cercare, per quanto possibile, di essere consumatori attenti e consapevoli per limitare lo sfruttamento del continente africano, che avviene per molti materiali oggi di grande utilizzo, come ad esempio, il coltan, adoperato per i telefoni cellulari, e alla cui estrazione, molto spesso, lavorano anche minori, mentre nell’est del Congo gruppi armati se ne contendono il controllo fronteggiandosi sanguinosamente.
Concludendo, si può quindi affermare che il franco CFA è solo uno dei tanti modi in cui si manifesta l’influenza spesso negativa delle potenze occidentali sull’Africa, anzi, probabilmente non è neanche il principale, ma comunque è positivo che, finalmente, si inizi a sollevare la questione dello sfruttamento di tale continente, a cui, come detto, partecipano in molti, e che, invece, contribuisce a renderlo più povero e incentiva i flussi di migranti in cerca di una vita migliore. L’aver iniziato a parlare anche delle cause del fenomeno migratorio, però, non avalla affatto le scelte politiche portate avanti su tale argomento dall’attuale governo, che, con il suo ministro dell’Interno Salvini, ha chiuso i porti alle navi delle ONG che recuperano i migranti in mare, rendendo più difficile salvarli, o lasciandoli molti giorni su tali navi prima di farli sbarcare, e, con il suo decreto sicurezza, riduce drasticamente i diritti di quelli già presenti sul territorio italiano, né, del resto, giustifica i vergognosi accordi con la Libia, stipulati già dal precedente ministro dell’Interno Minniti, per i quali questo paese cerca di bloccare le partenze di migranti verso l’Italia, trattenendoli, però, in centri di detenzione simili a lager dove vengono torturati.